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Per tramandare le tradizioni

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L’INGRESSO SECONDO TRADIZIONE


In occasione del 47° Sinodo della Chiesa ambrosiana, fu chiesto al Cardinale C.M. Martini, Arcivescovo di Milano, quale episodio nell'arco della sua permanenza sulla cattedra di Ambrogio fosse rimasto più vivo nella memoria del suo cuore

Rispose testualmente così: "Quando entrai in Milano il 10 febbraio 1980, feci ingresso nella basilica di Sant'Eustorgio, secondo la tradizione.
Mi accorsi subito dai canti, dalla gioia, dall'espressione della gente, che venivo accolto con amore e con disponibilità. Quei primi momenti - il primo abbraccio della città - furono per me indimenticabili."

Sono i medesimi sentimenti con i quali siete accolti anche voi oggi da questa comunità.

Ma l'episodio ricordato dal Card. Martini rivela il legame profondo che unisce questa comunità alla Chiesa delle origini, la Chiesa degli Atti degli Apostoli, che continua a essere modello del suo esistere.

FONTE BATTESIMALE E SAN BARNABA


Uscendo dalla Basilica, a sinistra, si trova un edificio color rosa sulla cui facciata è apposta una lapide, che attesta la presenza del primo fonte battesimale di Milano, costruito nei tempi apostolici, restaurato e benedetto dal Card. Federico Borromeo il 28 ottobre 1623.
Questa sede fu scelta perché scorrendo proprio lì un corso d'acqua, la Vettabbia, l’evangelizzatore di Milano la utilizzò per fondare il primo fonte battesimale; inoltre, esso era situato in prossimità di  un cimitero pagano già esistente.

Secondo un'antichissima tradizione. i primi cristiani di Milano furono battezzati a quel fonte da San Barnaba, uomo di fiducia degli apostoli e compagno di San Paolo nel primo dei suoi viaggi tra i gentili. Barnaba sarebbe così entrato in Milano da Porta Ticinese, quartiere nel quale è situata la Basilica di S. Eustorgio.
Il vescovo che entra in Milano per prendere possesso della sua diocesi lo fa da qui, da Porta Ticinese. E la sosta in Sant'Eustorgio, come ha ricordato il Card. Martini, è di rito.

L'ORANTE DI SANT'EUSTORGIO E LA NECROPOLI


Nei primi secoli i cristiani si riunivano dove potevano, spesso nei cimiteri, per celebrare il culto.

Al di sotto del pavimento della Basilica, è situato un cimitero pre-cristiano e paleocristiano
, cioè con tombe cristiane e pagane, che Sant'Ambrogio, patrono di Milano, chiamò “cimitero dei martiri", perché vi trovarono sepoltura anche le ultime vittime delle persecuzioni precedenti l'editto di Costantino del 313.

Nel cimitero dei martiri, tra i vari reperti archeologici, è stata ritrovata una lapide sulla quale è scolpita la figura di un giovane togato, in atteggiamento di preghiera, con le braccia alzate. E' la più antica posizione di preghiera dei cristiani, quella che esprimeva meglio il movimento dell'anima e il suo desiderio di Dio.

Per questo motivo, anche oggi nella Comunità parrocchiale di S. Eustorgio si è soliti pregare assumendo il medesimo atteggiamento di quel giovane riprodotto su quell'antica pietra: l'orante di Sant'Eustorgio
, simbolo della prima cellula di evangelizzazione di Milano.


LA TRADIZIONE DEI MAGI


Ma una seconda tradizione ci unisce alle origini della Chiesa e ci riporta addirittura ai vangeli dell'infanzia di Gesù. E' la vicenda dalla quale prende rilievo la figura di Sant'Eustorgio, eletto nel 343 nono vescovo di Milano, di cui fu anche governatore. In questa vicenda si intrecciano leggenda, tradizione e storia.

Se, arrivando qui, avete dato un'occhiata al campanile della basilica, avrete notato una "stranezza". Sulla sua cima non c'è una croce, ma una stella a otto punte
: la stella dei Magi, per indicare la presenza delle loro reliquie, oggetto da sempre della devozione dei fedeli.

La leggenda vuole che i Magi siano morti a Gerusalemme, dove erano tornati dopo la crocefissione di Gesù, per testimoniare la fede di cui si erano fatto banditori nei loro paesi.

La tradizione sostiene che le loro spoglie siano state trovate dalla regina Elena, madre di Costante, capo dell'Impero Romano d'Oriente, e trasferite nella chiesa di S. Sofia a Costantinopoli. Costante le donò a Eustorgio quando questi, eletto vescovo, si recò da lui per rimettere nelle sue mani il mandato di governatore di Milano da lui ricevuto. Eustorgio le trasportò, assieme al pesante sarcofago
nel quale erano state riposte, usando un carro trainato da buoi. Dopo un lungo e avventuroso viaggio di ritorno, giunse proprio qui, all'ingresso nella città da Porta Ticinese, dove il carro sprofondò nel fango e non fu possibile rimuoverlo. L'incidente fu interpretato da Eustorgio come un segno divino, e per questo fece erigere la prima basilica nella quale custodire le reliquie dei Magi.

La storia ci informa che nel 1164 l'imperatore Federico I, il "Barbarossa", durante una delle sue calate in Italia, ordinò al suo consigliere, Reinald von Dassel, che era anche arcivescovo di Colonia, di impadronirsi delle reliquie, che finirono cosi nel duomo della città tedesca. Nel 1906, infine, il Card. Ferrari, vescovo di Milano, ottenne una parziale restituzione delle reliquie, ora conservate in una preziosa urna posta sopra l'altare dei Magi.

A ricordo del loro martirio, la liturgia ambrosiana usa, nel giorno dell'Epifania, paramenti di colore rosso.

Al di là della questione riguardante l'autenticità o meno delle reliquie, la devozione dei Magi ripropone il cammino di ogni credente. Quando giungi a piegare il ginocchio davanti a Gesù, alla Parola diventata carne, puoi porgere il cuore al tuo Salvatore. Uno scrigno che non contiene oro, incenso o mirra, ma soltanto quell'unica povera ricchezza che è il tuo peccato. E da quel momento non puoi fare a meno di essere, a tua volta, annunciatore e testimone.

I QUATTRO SANTI VESCOVI


Sant'Eustorgio è stato il primo di quattro santi vescovi di cui si custodiscono i resti in basilica. Quelli di Eustorgio sono conservati in un'urna sotto l’altare maggiore, assieme a quelli di S. Onorato e S. Magno che vissero nel VI secolo, in un'ora drammatica per Milano, a seguito della calata dei Longobardi di re Alboino.

Il quarto santo vescovo è Eugenio, un transalpino, consigliere e confessore di Carlo Magno, al quale i milanesi sarebbero debitori della loro stessa identità religiosa.

Sarebbe stato infatti Eugenio a ottenere dal Papa nel 774 che il rito ambrosiano, minacciato di essere soppresso, rimanesse nei secoli, salvando così quella diversità e quella autonomia nei confronti di Roma  che sarebbero diventate simbolo di fierezza e di capacità creativa della nostra città.

L'EPOPEA DOMENICANA


Nel XIII secolo ebbe inizio quella che è stata definita l'epopea domenicana. Il clero diocesano lascia la basilica ai domenicani che vi rimarranno fino alla fine del XVIII secolo, quando Sant'Eustorgio verrà reintegrato nella vita istituzionale della diocesi con il ruolo di parrocchia. Don PiGi Perini è il nono parroco di S.Eustorgio.

L'arrivo dei domenicani coincide con un periodo di gravi difficoltà all'interno della cristianità d'Occidente, divorata al proprio interno dalla carie dei movimenti eretici. I catari tendevano a diventare addirittura maggioranza numerica in Lombardia.

Con i domenicani si apre in Occidente il fronte della riconquista interna alla cristianità. Si sentiva la necessità di una nuova evangelizzazione, un po' come adesso, anche se in situazioni storiche e sociali non confrontabili.

I domenicani furono le truppe speciali impiegate da Papa Innocenzo IV in questa operazione di nuova irradiazione della parola evangelica.

I TRE GRANDI SANTI


Tre sono i grandi santi domenicani che qui hanno pregato, predicato e operato: San Domenico, San Pietro Martire e San Tommaso. Ognuno di loro ha lasciato qualche suo tratto, qualche suo lineamento alla Comunità di oggi: un'eredità di virtù che si aggiunge alla manifestazione della grazia particolare che accompagna sempre ogni comunità ecclesiale.

Il dono di Domenico è quello dell'itineranza evangelica. I suoi figli spirituali non fanno del convento una fortezza, un luogo di rifugio, ma un punto dal quale irradiarsi, un trampolino di lancio dal quale si staccano per diventare evangelizzatori a tutto raggio, mandati a due a due come gli apostoli in santa comunità di vita. Per questo Domenico porterà i conventi dentro la città, nel cuore del mondo che vuole cambiare.

All'inizio della sua attività apostolica, secondo i biografi del tempo, Domenico ebbe una visione mentre si trovava nella basilica vaticana a Roma: San Pietro gli tende il bastone del pellegrino e San Paolo gli porge il Vangelo, e tutti e due gli gridano: "Vai e predica, perché Dio ti ha scelto per questo ministero!"

L'itineranza evangelica coincide con l'intuizione che ha avuto il nostro pastore quando, a metà degli anni Ottanta, ha dato vita al ministero degli evangelizzatori itineranti, laici che, assieme a lui o senza di lui, vanno là dove sono chiamati. In Italia, in Europa, talvolta anche più lontano, facendosi carico di tutti gli oneri del viaggio.

Pietro da Verona è il secondo grande santo domenicano che è stato di casa qui, primo martire del suo ordine.
Schierato in prima linea sui fronte della lotta all'eresia, il 6 aprile 1252, nei pressi di Barlassina, una località tra Como e Milano, venne assassinato con un colpo di falcastro al capo da un certo Pietro Carino. Prima di morire Pietro da Verona intinse un dito nel suo sangue e con quell'inchiostro, che era anche vita che fuggiva, scrisse la parola: "Credo". Da allora è ricordato come San Pietro Martire. I suoi resti sono conservati nella Cappella Portinari, deposti in una tomba marmorea, capolavoro dell'arte gotica.

Il dono di Pietro da Verona alla nostra comunità è quello della testimonianza, cui si aggiunge quello della Parola che diventa potenza di evangelizzazione.

Nella lotta all'eresia - che fu lotta all'ultimo sangue e l'ultimo sangue versato fu il suo - la vera arma di Pietro da Verona era la parola di Dio illuminata dallo Spirito Santo: l'unica spada, come ricorda San Paolo nella lettera agli Efesini al capitolo 6, che il cristiano può e deve usare.

Anche nella piazza antistante la nostra basilica si pigiava una folla incontenibile per ascoltare Pietro da Verona che parlava da una tribunetta ora scomparsa.

Una volta, parecchi anni fa, prima di iniziare l'esperienza delle cellule, don PiGi disse di aver avuto una visione, proprio mentre pregavano su di lui perché ricevesse l'effusione dello Spirito Santo.
"Vedevo - raccontò - la mia basilica piena di folla e anche la piazza era ricolma di gente. Poi mi ricordai che ciò era già avvenuto più di settecento anni fa quando predicava Pietro da Verona. Mi chiesi tuttavia se quell'evento non poteva ripetersi, se il mio sogno ad occhi aperti non potesse diventare realtà."
Questa visione è già diventata realtà almeno in parte.

Tommaso d'Aquino, il terzo dei santi domenicani che noi veneriamo, ha scritto qui alcune pagine della sua "Summa". Per questo si conserva di lui una reliquia: il pollice della mano destra.

Come saprete, la "Summa theologica", vera cattedrale del pensiero e della fede, è rimasta incompiuta. Non per cause esterne o di forza maggiore ma per un'improvvisa e irremovibile decisione di Tommaso.

Il 6 dicembre 1273, appena terminato di celebrare la Messa, Tommaso annunciò la sua decisione di smettere di scrivere. Aveva tenuto fino a quel momento un ritmo di lavoro elevatissimo: più di mille pagine all'anno, che dettava spesso contemporaneamente a tre o quattro segretari. Al suo confessore ed amico, frate Reginaldo, che lo supplicava di tornare sulla sua decisione, rispose: "Non posso." E aggiunse: "E’ paglia... tutto quello che ho scritto è soltanto paglia." Forse una chiave di interpretazione di questa decisione irremovibile può essere suggerita da un altro episodio della vita di Tommaso. Quando ebbe terminato il suo trattato sull'Eucaristia, Tommaso si recò in un'ora notturna a deporlo ai piedi del Crocefisso, che gli parlò: "Hai scritto bene di me, Tommaso. Che cosa vuoi in cambio?" "Nulla - rispose Tommaso - all'infuori di te, Signore!"

Si può supporre che nel suo cammino di avvicinamento a Dio e al suo mistero, fosse arrivato a un punto di non ritorno, dove risorse e facoltà umane non servivano più, anzi diventavano un appesantimento e un ingombro e dovevano essere deposte per consentirgli di raggiungere la meta.

In vista di Dio, nell’attesa del faccia a faccia, non rimane a Tommaso altro che il silenzio, l'ascolto, l'adorazione: "O Gesù che contemplavo velato, fai che avvenga ciò che tanto desidero: che guardando il tuo volto svelato io sia beato nel vedere la tua gloria".
Termina così l'"adore Te devote", l' inno che secondo alcuni biografi Tommaso avrebbe composto sul letto di morte.

Ebbene se l' adorazione perpetua è stata il primo atto concreto, l'atto iniziale e fondante di questa comunità, se l'ora di adorazione è diventata l'unità di misura della nostra preghiera, il carburante che accende e alimenta il motore della comunità, che è lo Spirito Santo, tutto ciò è un dono al quale San Tommaso non può essere estraneo.

Ecco, fratelli, adesso sapete dove siete e con chi siete: i santi che hanno fatto e continuano a fare la storia di Sant'Eustorgio, anche i santi anonimi e i fratelli e le sorelle di questa comunità che sono nella luce della gloria di Dio.

Disse bene una volta, tanti anni fa, il Card. Montini, allora Arcivescovo di Milano, visitando la nostra basilica: "Tutto qui parla, anche quando questa basilica è vuota. Questa basilica è piena di voci."

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